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Hunger - Recensione

27/04/2012 | Recensioni |
Hunger - Recensione

L'esordio cinematografico di Steve McQueen è una pellicola dai toni forti, bella e stilisticamente perfetta. Hunger racconta i drammatici fatti che attraversarono l'Inghilterra negli anni '80, il braccio di ferro che ci fu tra il governo capeggiato dal Primo Ministro Thatcher e i detenuti dell'IRA. Quest'ultimi fermi nelle loro posizioni di essere dichiarati e riconosciuti prigionieri politici. Ma non è su questo aspetto che si focalizza il film, o meglio, sono le conseguenze di ciò che vengono portate alla luce, perchè quello che Steve McQueen ha voluto evidenziare è stata la realtà che si viveva dentro il carcere di Long Kesh nell'Irlanda del nord, in uno dei famosi H-blocks, il braccio dove i detenuti stavano effettuando la "protesta delle coperte" e quella "dello sporco", ovvero un incubo sia per i prigionieri che per le guardie.
Proprio da li parte il racconto, cupo, freddo e silenzioso, del film, entrando in questa realtà con gli occhi di un agente che lavora nel braccio, cominciando con la sua vita, sistematica, scandita da ritmi regolari ed abitudini precise, la trasformazione di questa persona che avviene una volta varcate le mura della prigione, dove la sua sistemicità consiste nel pranzo con i colleghi e le atroci e brutali torture ai detenuti. La camera si muove silenziosa e ci fa conoscere come vivono i ribelli, i veri protagonisti di questa storia, con celle allo stremo della decenza, nudi, provvisti solo di una coperta, maltrattati e picchiati, ma nonostante questo fermi nelle loro idee, si destreggiano nei  colloqui con il parentame scambiando fogli e radioline. Uno di loro è Bobby Sands, lo straordinario Michael Fassbender, che darà vita allo sciopero della fame in segno di protesta,  perché "la  libertà è tutto per lui e togliersi la vita non è solo l'unica cosa che può fare, è anche la sola cosa giusta da fare".
La storia ritrae lo spaccato di vita di quegli anni, e lo fa scaturendo un grande impatto emotivo, dettagliato, un'indagine puntuale che ci mostra cosa si è capaci di fare quando l'unica arma per dimostrare cosa c'è nella tua mente, quali sono le tue ideologie, è il tuo corpo, è te stesso.
Presentato nel 2008 al prestigioso Festival di Cannes, vincendo il premio Camera d'Or, la pellicola è stata un vero successo, sia per il regista che per il suo protagonista, in tutto il mondo, arriva da noi con 4 anni di ritardo trasportato dall'onda mediatica scaturita da Shame. Ancora una volta, (perdonatemi ma avendo visto prima Shame non posso che dire così), McQueen usa il corpo per veicolare gli stati d'animo dei personaggi, poche le parole, significative quelle che ci sono, come il dialogo di Bobby con il parroco che lo va a trovare, dove i due discutono sulla scelta del ragazzo con una vera e propria guerra di battute, dove nessuno ne uscirà vincitore. I toni sono sempre quelli freddi del grigio, il blu scuro, che rispecchiano non solo l'ambiente circostante, ma soprattutto le personalità e i tormenti interiori dei protagonisti, come le musiche sommesse, scandite da poche note di piano, tutto appare superfluo, le inquadrature sono scarne, ciò che le riempie è l'immagine stessa. Gli attori sono chiamati a recitare in maniera assoluta, mostrandoci la loro bravura, McQueen li spoglia dai fronzoli interpretativi e restituisce loro l'arte della recitazione, Michael Fassbender riesce in un' interpretazione, che fu prima di lui quella di Christian Bale ne L'uomo senza sonno, dimagrendo in maniera notevole e sostanziale per entrare nei panni di Bobby Sands, dimostrando di essere un grande attore capace di mettersi alla prova con tutto se stesso per un personaggio, per rendere giustizia alla storia, per essere lui (Stanislavskij ne sarebbe fiero), una prova che merita tutti i premi vinti e la svolta attoriale che ha preso la sua carriera. Esce nelle sale il 27 aprile, grazie alla Bim Distribuzione, in 27 copie, vi consigliamo vivamente di cercare le sale che lo proietteranno e di riuscire, qualora fosse possibile, di vederlo in lingua originale.

Sonia Serafini

 


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